Milan, un flop da un milione a gara: la storia di Bogarde

Sin dalla nascita del football nelle “pelouses” inglese, generazioni e generazioni di bambini hanno sognato di ritagliarsi uno spazio nell’Olimpo del Pallone, immaginandosi condottieri dei club più blasonati e desiderosi di alzare trofei in serie.

C’è poi anche chi, meno prosaicamente, capisce di non avere a disposizione mezzi di primissima qualità e cerca intelligentemente di monetizzare al massimo la breve durata di una carriera. Ecco, il massimo esempio di questa categoria è stato l’olandese Winston Bogarde, che i tifosi del Milan, purtroppo per loro, ricordano bene come “bidone epocale”. E dire che la sua prima parte di carriera era stata più che incoraggiante: seppur lento e privo di fondamentali da primadonna, il ragazzone “colored” classe 1970 sopperiva alle lacune tecniche buttandola sul piano fisico, in virtù dei 190 cm di altezza. In questo modo riusciva ad affermarsi nell’ Ajax, vincendo tra le altre cose due campionati e debuttando nella Nazionale olandese.

Ecco dunque nel ’97 il passaggio al Milan, a parametro zero e fra squilli di tromba. A Milanello persino Fabio Capello, uno che di calcio ne capisce eccome, si dimostrò fiducioso rilasciando una dichiarazione che a posteriori suona presaga e ilare: «Scommetto soprattutto su Kluivert, ma penso che anche Ba e Bogarde possano dare molto». E invece, bastano poche partite per capire che non è cosa: uno scellerato retropassaggio a Taibi che propiziò il gol della vittoria dell’Udinese targato Bierhoff sanciva di fatto la fine dell’esperienza in rossonero, dopo sole 4 partite.

Nel dicembre 1997 la dirigenza rossonera lo girerà al Barcellona, alla corte del suo mentore Van Gaal, nel frattempo emigrato nella Liga. E se la prima annata fu tutto sommato positiva, le restanti due le trascorse sempre più fra panchina e tribuna che in campo, in barba al ricco ingaggio siglato al suo arrivo. E’ però nel 2000 che Winston compie il proprio capolavoro: i dirigenti londinesi, convinti dal connazionale Mario Melchiot, gli fanno firmare un triennale da 70.000 sterline a settimana, per l’equivalente di 3 milioni di euro odierni all’anno. Mister Claudio Ranieri non tarda ad accorgersi della topica, ma ormai il danno è fatto e nemmeno la retrocessione nella squadra riserve scalfisce il morale del difensore orange. E il suo conto in banca cresce in maniera esponenziale: in un quadriennio scende in campo solo dodici volte, ma porta a casa un totale di 12 milioni di euro. In pratica, un milione a partita.

Non contento, tanto per farsi amare ancor di più da compagni e tifosi, decide anche di calare il carico: «Potrei giocare titolare da qualsiasi altra parte –  disse una volta ad un giornalista – ma perché dovrei? Qui mi pagano, e anche bene». Una volta scaduto il contratto Ottiene di allenarsi con l’Ajax – che ad ingaggiarlo non ci pensa neanche lontanamente – finché un bel giorno, l’8 Novembre 2005, dopo oltre un anno di inattività decide saggiamente di annunciare il suo ritiro dall’attività agonistica, all’età di 35 anni. Osservando i suoi numeri dal 1997 al 2004 quindi, vediamo come sia sceso in campo in sole 77 occasioni, guadagnano oltre 13 milioni di euro. Non sarà stato un fenomeno, ma in quanto a strategia e marketing può dare lezioni a molti.

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